Poiché da tanto tempo, troppo tempo, mi sento in debito con il piccolo mondo che mi ha visto nascere e crescere, oggi sabato sei novembre duemilaventuno, sono venuto a Pratieghi per commemorare, con lieve ritardo, chi ci ha lasciato in tempi più o meno lontani.
Sceso al bar, ho trovato la Luisa attorno alla stufa, la Lorella al bancone, Brunello a un tavolino e un bel cappuccino caldo che mi ha rinfocolato in questa freddissima giornata autunnale. Sono salito poi al camposanto dove padre Ivano, frate della Verna, con il saio e i tipici calzari francescani, ha officiato il rito commemorativo. E lì ho sentito forte il desiderio e impellente la necessità di fare memoria di “quelli che furono” e che hanno reso bella la terra di Pratieghi, dagli scogli grigiastri e aridi del poggio del Piantintolo e delle Vigne ai campi umidi e fertili del Mulin Vecchio e dei Pratacci.
Come d’incanto, i sogni avvizziti che mi erano rimasti muti dentro, si sono svegliati e hanno riempito di sole intere giornate, riscoprendo l’andamento aspro o dolce delle stagioni. E’ questo il tempo di dare voce alle ansie speranzose di chi a Pratieghi ha vissuto, o vive ancora, e ha chiaro il ricordo del giallo tenue delle arse stoppie dei campi di grano che lasciavano il posto al marrone profondo delle semine di ottobre.
Senza profanare la memoria intima di chi non c’è più, tornano dinamici e frenetici nei loro lavori Bista e Mariano, Gino e Fesio, Nardo e la Margherita, Primino, Girolamo e il Cioni, Domenico con la Adria, la Edia e la Caterina, Checco con la Nunziata, Sesto e Genziano, Demo e Pietrino, Ofelio e la Beppina, Menco e la Dina, Modesto con l’Orsolina, Almo e la Settimia, Menco con la Lucia, Rigo e la Maddalena,…, tutti che aravano con passione le loro terre, dove ogni cosa si svolgeva in un inevitabile sfondo di fatiche e di sacrifici, ma senza rassegnazione, indifferenza o fatalismo, dove tutti potevano essere superiori a molti, pari a chiunque e, quindi, inferiori a nessuno.
Tornano geniali artigiani, come Tullio, Sostegno e Beppino, che restauravano e costruivano case, Santino che intarsiava mirabili portoni, o Pietro Baroni che, oltre a ferrare cavalli, muli e micce, sulla forgia e l’incudine creava capolavori in ferro battuto, (…).
Riaprono le loro botteghe la Delfa con Egisto e Elso, la Stefania e Artemio, la Mimma con la Tilde e Oscar, che mescevano vino, spuma, birra e liquori, e rifornivano di alimenti tutte le case, dal Pantano fino all’Ospizio. E intanto il maestro Eugenio insegnava ai ragazzi e ragazze.
I ricordi sono tessuti di una materia labile, tanto che a volte ci sembrano sogni. Ma i ricordi ci riportano pure agli ammonimenti del destino, all’età dell’illusione, quando tutto sembrava semplice e sentivamo perfino l’odore del paradiso. Oggi a Pratieghi mi sono sentito protetto da coloro che furono e mi è stato tanto dolce tornare ai giorni in cui ignoravo ancora cosa fossero le delusioni, il dolore, la noia, l’indifferenza, il senso del limite e la finitudine del tempo e andavo contento a pescare con Mario della Vesta ai borri della Ceppata o del Nasseto. Oggi sono passato dalle memorie mummificate e dal tempo congelato, al ricordo dinamico e creativo di quelli che furono e con loro si è dissolto il malinconico affetto, l’abbandono, l’oblio, fino ad arrivare ad apprezzare, senza ironia, ogni forma di tenerezza, fino all’inseguimento dell’irraggiungibile.
E ormai, con le prime ombre della sera, scendendo dal camposanto verso il mulino di Mario e il Casone, sento di non avere più appuntamenti effimeri e non mi considero più estraneo in un mondo noto. Dalla indifferenza della rimozione, sto camminando verso sicure certezze. I destini delle cose che ci girano intorno, eterne e misteriose, i pesanti sensi di colpa che possono assalirci per avere abbandonato un mondo semplice e sereno, a causa di complicati intrecci di storie, questa sera li apprezzo e li custodisco, perché ho compreso che tutto poi si scioglie e si perde nella fluidità e bellezza della vita.
Penso già al gelo delle mattinate di gennaio quando, camminando per la strada polverosa del Paggino o per quella imbrecciata verso Lusato, potrò ammirare i girigogoli stupendi dei disegni creati dalla galaverna sugli alberi e sull’erba.
“Quelli che furono” (passato remoto) non devono diventare “quelli che furono stati” ( trapassato remoto ), perché per noi tutti saranno sempre “ quelli che sono “.
Omero Petreti
Yury Nipote di quel Bista di quel Mariano e di quel Pietro Baroni.
Nonché adottato si può dire Da Oscar e la Tilde ti dice Grazie per questo viaggio che mi hai regalato.
Così Genuino così confortante così Lontano purtroppo.
❤️
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Grazie Omero ho rivissuto con lacrime agli occhi tutto quel passato costantemente presente alla mia mente. Grazie di cuore Lorenza
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Grazie Omero per avermi fatto rivivere un passato che in realtà non ho mai dimenticato! Come ha detto giustamente mio fratello Fabio, sei un grande!!! Grazie di ❤️ Mariella.
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