La Provincia di Massa Trabaria

Prima Parte

Il passo di Bocca Trabaria, che mette in comunicazione l’alta valle del Metauro con la Valtiberina, ci ricorda il nome di un antico territorio, la Massa Trabaria, di cui faceva parte anche Badia Tedalda. Si estendeva nel Medio Evo a cavallo tra le attuali Marche e Toscana.

Vediamo di spiegare il nome. Per “massa” si intende un raggruppamento di terreni o territori vicini. Il termine nasce sul finire dell’Impero Romano in conseguenza della scomparsa della piccola proprietà agricola.

Trabaria deriva dall’“obsequium trabium”. Il territorio di cui parliamo, dagli ultimi secoli del primo millennio essendo sottoposto alla Santa Sede e ricco di foreste, era tenuto alla fornitura gratuita delle travi per la manutenzione della basilica di S. Pietro e la costruzione delle altre basiliche romane. Il nome più antico della Massa Trabaria era infatti “Massa Sancti Petri”. I lunghi tronchi erano trascinati da buoi oltre lo spartiacque appenninico attraverso il passo di Bocca Trabaria e fatti poi fluitare lungo il Tevere fino a Roma.

Particolare della mappa: “Legatione del Ducato di Urbino” dell’abate F. Titi (Roma 1967) con la Massa Trabaria.

Circa alla fine del VII secolo D.C. un geografo bizantino, di cui non ci è pervenuto il nome, nella sua “Ravennatis Anonimi Cosmographia” (lungo elenco di luoghi, descrizione del mondo allora conosciuto, tra l’altro è il primo testo che riporta il nome medievale del Marecchia: “Maricla” che prende il posto del nome romano) definì il territorio a monte della Pentapoli bizantina (era formata dalle città di Rimini, Pesaro, Fano, Senigallia e Ancona e dai loro territori) come la: “Regione o Provincia dei Castelli”. Castellum è un nome di origine romano bizantina.

Anche in queste zone montane si fronteggiarono nel VI secolo d.C. i Bizantini con i Goti nella rovinosa guerra Greco Gotica (535-553), i Goti furono sconfitti. Poco dopo arrivarono i Longobardi che si attestarono sui crinali delle alte valli, alla fine ebbero la meglio sui Bizantini creando dall’Appennino Modenese fino all’Urbinate una loro provincia montana, quella delle “Alpi Appenniniche” di cui parla lo storico longobardo Paolo Diacono. I Longobardi saranno sconfitti dal re dei Franchi, Pipino il Breve, chiamato a scendere in Italia dal Papa, negli anni 754-756. Il re dei Franchi consegnò i territori conquistati al Papa, da questo momento la zona che diventerà la Massa Trabaria sarà soggetta alla Chiesa di Roma.

In epoca feudale, dopo il fatidico anno Mille, in quel periodo di rifioritura della vita civile, la “Regione dei Castelli” venne a trasformarsi in varie entità giuridiche autonome come il “Comitatus” di Montefeltro ed il “Territorium” di Massa Sancti Petri chiamato poi Massa Trabaria.

I documenti più antichi che nominano la Massa Sancti Petri sono nelle pergamene della scomparsa abbazia di S. Michele Arcangelo del Sasso Simone, la più antica è dell’anno 1168, come emerge dalle ricerche del prof. F.V. Lombardi.

Nell’anno 1172 c’era un “Gregorius Communis Masse Notarius”.

Ai primi anni del ‘200 risale un importante documento, il Diploma di Ottone IV, re di Germania e Imperatore del Sacro Romano Impero, datato 7 ottobre 1209, nel quale la “Massa Beati Petri, que Trabaria dicitur” riceve riconoscimento di autonomia.

Il Diploma è importante anche perchè delinea i confini con precisione.

“A fontanellis Alpium…”. I confini della Massa T. nel Diploma ottoniano vengono fatti iniziare dalle sorgenti del Metauro che sono quattro. La più importante è nel territorio di Badia Tedalda. Poco a monte della località di Gorgascura  ci sono le sorgenti che nel Diploma di Ottone IV vengono chiamate fontanellis Alpium, anche il Lanciarini su questo non ha dubbi. 

Gorgascura è lambita dal torrente Auro che più a valle, a Borgo Pace, si unisce al torrente Meta, da questa confluenza inizia il Metauro.

Resti della torre di Gorgascura che dominava l’alto corso del torrente Auro che ha le sorgenti (Fontanellis Alpium) poco a monte.

Il confine dalle sorgenti saliva al sovrastante Monte Maggiore seguendo probabilmente l’antico percorso dei pellegrini diretti a Roma, correva lungo il crinale dell’Alpe della Luna oltrepassando il Passo di Viamaggio e di Frassineto fino ad arrivare ad Arsicci, vicino Valdazze.

Da questa località il confine scendeva lungo il corso del Marecchia fino a Molino di Bascio. Saliva lungo il torrente Torbello fino al Sasso Simoncello per scendere, sul versante opposto, con il torrente Mutino fino alla confluenza con il Foglia. Da questo punto si dirigeva verso Paganico oltrepassava il Metauro verso la Villa di Matera fino alla Serra di Pernacciano per ritornare lungo il crinale appenninico verso le sorgenti del Metauro.

Analizzando l’ampia area delimitata da questi confini vediamo che è compreso buona parte del territorio di Badia Tedalda che invece da quasi un secolo per lo “Spirituale” era legato alla Diocesi di Città di Castello (Bolla di Papa Onorio II al Vescovo della città castellana dell’anno 1226).

Cinque erano le Pievi (importanti chiese antiche, le uniche dotate di Fonte Battesimale, dalle quali dipendevano altre chiese parrocchiali e “semplici”) della Massa Trabaria.

Quella di S. Pietro Icense a Mercatello sul Metauro, la Pieve Nullius di S. Pancrazio a Sestino (Nullius significa che la chiesa non dipendeva da alcuna Diocesi ma direttamente da Roma, dalla Santa Sede).

Altre due Pievi erano a Belforte all’Isauro e a Sant’Angelo in Vado.

Per quanto riguarda la quinta Pieve, quella del territorio di Badia Tedalda, siamo in un fitto mistero, non sappiamo dove e quale fosse, se ne è persa la memoria.

C’è anche chi ha ipotizzato che non sia mai esistita poiché il Plebato di Sarsina arrivava a comprendere anche l’alta Valle del Marecchia.

Per quanto importante fosse la Pieve di Sarsina con il suo territorio non poteva arrivare così lontano, il prof. Lombardi ha ipotizzato una scomparsa Pieve di San Paterniano. Che fosse in quella località che le antiche mappe del ‘500 chiamano Badivecchio? 

In questa ampia circoscrizione delimitata dal Diploma di Ottone IV coesistevano tante piccole comunità rurali e montane con realtà più grandi come Sant’Angelo in Vado, Sestino, Badia Tedalda ed altre, tutte riunite sotto un’unica istituzione di tipo comunale denominata “Communis et Universitas Masse” che era governata da un Rettore nominato dal Papa (il termine Universitas va inteso nel senso di organizzazione di persone).

La residenza del Rettore era nella Pieve di Sant’Angelo in Vado.

Fabrizio Barbaresi

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